storia del calcio

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view post Posted on 29/12/2007, 11:47




« Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è invasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro. »

(Pier Paolo Pasolini)
Collabora a Wikiquote « Il calcio è l'arte di comprimere la storia universale in 90 minuti. »

(George Bernard Shaw)
Un pallone da calcio
Un pallone da calcio
Una fase del gioco
Una fase del gioco

Il calcio è un gioco sportivo nel quale si fronteggiano due squadre composte ciascuna da undici giocatori. Per praticarlo sono utilizzati un pallone sferico ed un campo di gioco con due porte. Il gioco è regolamentato da una serie di norme codificate e il suo obiettivo è quello di segnare più punti (goal) dell'avversario facendo passare il pallone fra i pali della porta avversaria.

È sport olimpico dalla II Olimpiade moderna.

Di origine arcaica, in uso presso gli antichi Romani con l'harpastum, nel quale due fazioni dovevano portare una palla oltre la linea di fondo avversaria e nel quale prevaleva l'aspetto antagonistico rispetto a quello agonistico, veniva probabilmente abbozzato, in seguito, per quello che conosciamo al giorno d'oggi durante il Medioevo in Italia (vedi Calcio fiorentino), ma la sua affermazione moderna e codificata si ebbe in Inghilterra, alla metà del XIX secolo e da allora si diffuse dapprima nel resto d'Europa e in Sud America e poi in tutto il mondo.

La competizione calcistica più importante è il Campionato mondiale di calcio, che si disputa ogni quattro anni sotto l'egida della FIFA, il massimo organismo calcistico mondiale. Si tratta dell'evento sportivo più seguito in assoluto[1].
Campo da gioco

Il calcio si gioca su un campo rettangolare di dimensioni variabili (mediamente intorno ai 105x65 metri, ma la prima regola del calcio, che individua le caratteristiche del terreno di gioco, impone che il campo sia lungo da 90 a 120 metri e largo da 45 a 90). Non è prescritto che il terreno sia ricoperto d'erba naturale: nelle gare afferenti alle massime categorie, comunque, è solitamente così. Non mancano le eccezioni in ambito nazionale: a Mosca il campo è in materiale sintetico, mentre negli USA tali materiali sono stati ampiamente sperimentati e poi abbandonati. Il terreno viene delimitato ai lati da righe bianche tracciate con pigmenti bianchi (solitamente in gesso o vernice), ed è caratterizzato da due portali rettangolari (comunemente porta da calcio) muniti di reti nella parte posteriore ed esterna al terreno di gioco. Si gioca attivamente sul campo con l'uso di una sfera (comunemente pallone da calcio).

Scopo del gioco

Lo scopo del gioco è di far entrare la sfera (originariamente una palla di cuoio) nella porta avversaria, delimitata da due pali verticali congiunti da una traversa superiore che li unisce.
La regola principale che caratterizza e differenzia questo sport rispetto al Rugby e alla Pallamano è che la palla non può essere colpita o toccata con braccia e mani; per lo più si usano i piedi ma ogni altra parte del corpo è ammessa. Il giocatore deputato al ruolo di portiere è l'unico che può toccare il pallone con le mani, ma solo all'interno della propria area di rigore (un rettangolo prospiciente la porta delimitato anch'esso da righe bianche).
Rilevante è anche la regola del cosiddetto fuorigioco (vd. fuorigioco nel calcio per un approfondimento).

Ruoli

Sono 4 i principali ruoli del calcio: il portiere, il difensore, il centrocampista e l'attaccante.
I giocatori vengono messi in campo secondo delle tattiche, oggi comunemente indicate con tre o più numeri e, fino agli anni '50, designate da termini quali metodo, sistema, piramide.

Durata del gioco

Le partite della variante canonica principale del calcio durano 90 minuti e sono suddivise in due frazioni (comunemente tempi) di quarantacinque minuti ciascuna, intervallati da un periodo di riposo non superiore ai quindici minuti. Prima della fine dei due tempi, il giudice di gioco (comunemente l'arbitro) decide se concedere un periodo di estensione del tempo di gioco (comunemente recupero) come parziale contropartita al tempo perso per sostituzioni, infortuni o quant'altro si verifichi durante il gioco e sia causa di arresto temporaneo della partita. Abitualmente sono concessi da uno a cinque minuti per tempo. Il tempo di gioco effettivo è sempre inferiore ai 45 minuti, poiché il cronometro ufficiale non può essere mai fermato (come accade per esempio nel basket). La partita, al più, viene sospesa temporaneamente e ripresa, nel conteggio del tempo, dal momento della sospensione. In caso di impossibilità a proseguire normalmente il gioco, essa può essere definitivamente sospesa con decisione autonoma dell'arbitro o dopo consultazione dello stesso arbitro con i capitani delle due squadre. L'arbitro è anche il cronometrista ufficiale della partita.

Casi particolari

In competizioni che prevedano l'eliminazione diretta ed esigono un vincitore della gara, attualmente si ricorre di solito a tempi supplementari (due tempi di quindici minuti ciascuno) e, in caso di ulteriore parità, si passa ai calci di rigore per stabilire il vincitore. Precedentemente era in vigore un sistema casuale per determinare la squadra vincente basato sul lancio di una monetina: il cosiddetto "Testa o croce".

Varianti principali

Alcune varianti nel meccanismo dei tempi supplementari, introdotte dalla seconda metà degli anni '90 prevedevano:

* il silver gol: la squadra che riesce a terminare in vantaggio il primo tempo supplementare si aggiudica l'incontro senza bisogno di disputare il secondo tempo supplementare;
* il golden gol: la prima squadra che segna nei supplementari si aggiudica l'incontro e la partita finisce immediatamente.

Queste modifiche regolamentari sono state abolite nel 2004.

Degne di nota sono anche le varianti che riguardano il numero dei giocatori schierati, in numero di 7 (calcio a sette) o di 8 (calciotto) in voga tra i giovani e dilettanti, ma soprattutto in numero di 5 (calcio a cinque, comunemente detto calcetto) nella forma che è attualmente tra le più popolari e seguite fra le varianti emergenti.

Diffusione

Il calcio si gioca a livello professionistico in tutto il mondo. Milioni di persone vanno regolarmente allo stadio per seguire la propria squadra del cuore, e molte altre guardano le partite in televisione. C'è anche un elevatissimo numero di persone che gioca al calcio a livello amatoriale. Non c'è dubbio che la popolarità di questo sport continui a crescere continuamente. In Africa, Asia e Stati Uniti l'interesse sta crescendo sempre più negli ultimi anni. Non a caso, nel 2010 il Sudafrica ospiterà la manifestazione più importante del calcio: i Mondiali di calcio.

Nascita del calcio moderno

La patria del calcio moderno è l'Inghilterra, e in particolare, i college britannici, nei quali ci si ispirò al calcio fiorentino che veniva praticato a Firenze, nel periodo medievale. Nasce come sport d'élite: erano i giovani delle scuole più ricche e delle università a giocare al football. Le classi erano sempre composte da dieci alunni, e a questi si aggiungeva il maestro che giocava sempre insieme a loro. Ecco spiegato perché si gioca in undici. Il capitano di una squadra di calcio è una sorta di discendente del maestro della public school.
Il portiere: ultimo baluardo a difesa della porta
Il portiere: ultimo baluardo a difesa della porta

Nel 1848, all'Università di Cambridge, H. de Winton e J.C. Thring, proposero, e ottennero, di fare una riunione con altri dodici rappresentanti di Eton, Harrow, Rugby, Winchester e Shrewsbury. L'incontro durò otto ore e produsse un importante risultato: vennero infatti stilate le prime basilari regole del calcio.

Queste regole posero fine al dubbio che riguardava la parte del corpo con la quale colpire la palla: con le mani, con i piedi o entrambi indifferentemente? Le cosiddette regole di Cambridge favorivano chiaramente il gioco con i piedi e permettevano il gioco con le mani solo nel momento in cui era necessario catturare un pallone chiaramente indirizzato in porta, come su un calcio di punizione diretto.

Queste regole furono adottate da tutti eccetto che dall'Università di Rugby, i cui rappresentanti erano chiaramente a favore di un gioco più fisico e che consentisse di toccare il pallone anche con le mani. Si produsse così lo scisma che portò alla nascita del rugby, sport che prende il nome dall'Università che l'ha sviluppato.

Il 26 ottobre 1863 a Londra venne fondata la Football Association, prima federazione calcistica nazionale, nel 1886 le Federazioni britanniche diedero origine all'International Football Association Board, con il compito di sovraintendere al regolamento, ed infine nel 1888 si tenne il primo campionato inglese, secondo la formula tuttora in vigore.

Il calcio intanto si espandeva a macchia d'olio: in Inghilterra ben presto divenne lo sport per eccellenza della working class e non solo delle èlite. Questo nuovo gioco, divertente, semplice e stancante era l'ideale per sfogarsi dopo una settimana lavorativa.

Dall'Inghilterra il calcio venne esportato in tutta Europa ad opera di emigrati di ritorno dall'Inghilterra stessa e che furono tra i primi a conoscere il football, o su iniziativa degli stessi inglesi che si trovavano all'estero.

In Sudamerica, i marinai inglesi preferivano giocare a calcio tra di loro lasciando da parte la gente del posto. Ma rimanere fuori a guardare si rivelò decisivo: ben presto, brasiliani e uruguaiani diventarono ben più abili dei maestri nel praticare il calcio.

Il fenomeno ormai era di dimensioni intercontinentali, ed era necessario adattare le istituzioni calcistiche e chiarire in maniera più dettagliata le regole. In questi anni infatti, erano svariate le interpretazioni del gioco.

Finalmente, anche a questo scopo, nel 1904 si costituì la Federation Internationale de Football Association (FIFA), cui si affiliarono le varie Federazioni nazionali.

Le origini del calcio in Italia
Per approfondire, vedi la voce Calcio in Italia (origini).

Nascita della FIFA e regole del calcio
Per approfondire, vedi la voce Regole del calcio.

Il campo di gioco
Per approfondire, vedi la voce Campo da calcio.

L'arbitro

Per ogni gara Ufficiale viene designato un Arbitro dal Competente Organo Tecnico dell'Associazione Italiana Arbitri (AIA). L'Arbitro rappresenta la Federazione e ad esso sono conferiti tutti i poteri per vigilare sul rispetto delle regole del gioco.

A seconda della gara, l'Arbitro può godere della collaborazione di due Assistenti che presidiano le linee laterali, e in alcune categorie viene designato anche un Quarto Ufficiale di gara, che, a seconda del regolamento della competizione, è titolato a sostituire uno degli altri Ufficiali di gara qualora essi non siano in grado di svolgere le loro funzioni.

Nel nostro paese, l'arbitro, prima di accedere a tale qualifica, deve effettuare un lungo corso, gratuito, presso una sezione AIA, durante il quale egli acquisisce una perfetta conoscenza e padronanza delle regole del calcio, e al termine del corso deve sostenere un esame di qualificazione.

All'arbitro spettano tutte le decisioni tecniche e disciplinari legate allo svolgimento di una gara. Egli inizia ad esercitare la sua autorità disciplinare dal momento in cui raggiunge l'impianto sportivo finché non lo abbandona al termine della gara, mentre invece la sua autorità tecnica vige per tutta la durata della gara.

L'arbitro vigila sul rispetto delle regole del gioco, e quando ravvisa una infrazione delle stesse, è suo dovere comminare la sanzione tecnica prescritta e anche quella disciplinare, se prevista. Tutte le sue decisioni dovute a fatti di gioco sono inappellabili e spettano a lui e solo a lui, anche se egli ha facoltà di avvalersi del giudizio dei sui assistenti ufficiali.

È nei poteri dell'arbitro comandare calci di punizione o di rigore, ammonire o espellere calciatori, allontanare dirigenti, interrompere o sospendere definitivamente la gara.

La figura dell'arbitro in Italia ha subito un totale mutamento nel corso degli anni. Quando il calcio era alle sue origini, l'arbitro era considerato alla stregua di un Giudice e, come tale, avvolto da un'aura di rispetto. Con il tempo, la figura dell'arbitro ha perso questa prerogativa morale e progressivamente è stato sempre più visto con sospetto e diffidenza, fino a divenire oggetto di ingiurie e di pregiudizi (come nel caso dell'urlo "Arbitro cornuto!", che viene spesso scagliato dagli spalti). L'operato dell'arbitro, soprattutto nelle gare del massimo campionato, viene oggi esaminato istante per istante, scomponendo ogni singolo episodio con decine di immagini da ogni visuale. Purtroppo l'arbitro è chiamato ad esprimere decisioni nell'arco di pochi secondi, è vincolato ad una sola visuale e, pertanto, non sempre è in grado di assumere la giusta decisione, anche per via della sua natura umana.

Recentemente, si sta facendo strada il fenomeno della violenza ai danni dei direttori di gara, soprattutto nelle categorie inferiori. Anche se gli organi di informazione non danno molto risalto a questi episodi, i comunicati ufficiali della federazione riportano sempre più spesso gravi episodi di aggressione ai danni di arbitri.

Pallone in gioco e non in gioco

Tutte le linee disegnate sul campo di gioco, sono parte dell'area che delimitano. Quindi un pallone che percorre una linea laterale è considerato in gioco, un pallone sulla linea dell'area di rigore è decretato essere all'interno l'area di rigore. In definitiva, il pallone deve superare totalmente la linea laterale o di fondo per essere considerato fuori dal gioco e deve superare totalmente la linea di porta per essere considerato in rete. Se anche una minima parte del pallone non ha oltrepassato la linea, è ancora in gioco.

Falli e scorrettezze
I cartellini rosso e giallo
I cartellini rosso e giallo

L'arbitro ha il potere di punire un calciatore ed anche un allenatore, o un qualsiasi dirigente presente in panchina, per cattiva condotta, gioco violento o proteste. Un arbitro può estrarre il cartellino giallo come ammonizione e il cartellino rosso che comporta l'espulsione del giocatore. Anche un giocatore in panchina può essere punito con i medesimi provvedimenti. Nel caso venga espulso un dirigente o un allenatore, questi verrà allontanato dalla panchina senza l'esposizione del cartellino.

L'espulsione può avvenire direttamente, per condotta violenta o gravemente sleale o, ancora, in seguito alla seconda ammonizione di uno stesso giocatore (doppia ammonizione): due cartellini gialli equivalgono infatti ad un rosso, anche se comminati per motivazioni completamente differenti. Ad esempio, comporta l'espulsione (cartellino rosso) il fallo di chiara ed evidente azione da rete (impropriamente detto "da ultimo uomo"), fischiato quando su un attaccante che ha una chiara occasione da rete viene commesso uno dei dieci falli punibili con un calcio di punizione diretto. L'interpretazione di tale fallo resta, tuttavia, materia di dubbi e dibattiti e lasciato alla discrezionalità dei giudici di gara, anche perché molto dipende dalla zona del campo in cui l'infrazione è commessa. Ad esempio, un fallo da "ultimo uomo" commesso nelle vicinanze delle linee laterali comporta solitamente solo l'ammonizione. Un esempio di applicazione automatica del regolamento senza discrezionalità è rappresentato dal fatto che esultare dopo un gol levandosi la maglietta della squadra comporta incondizionatamente una ammonizione (cartellino giallo).

Calci di rigore e calci di punizione
calcio di punizione diretto
calcio di punizione diretto
calcio di rigore
calcio di rigore

Come già detto, se un giocatore subisce un fallo che preveda la concessione di un calcio di punizione diretto all'interno dell'area avversaria, l'arbitro concede il calcio di rigore.

Si tratta della massima punizione per una squadra, perché segnare un rigore è relativamente facile. L'attaccante deve tirare dal dischetto situato a 11 metri dalla porta, davanti a sé ha solo il portiere che non può muoversi dalla linea di porta se non lateralmente. Fin quando l'attaccante non ha toccato il pallone in avanti, nessuno può entrare all'interno dell'area ed il portiere non può muoversi in avanti.

L'arbitro fischia un calcio di punizione a favore della squadra che subisce fallo in qualsiasi zona del campo che non sia l'area di rigore (eccetto che si tratti di un calcio di punizione indiretto in area). La squadra che difende può formare una barriera la cui posizione e composizione viene decisa dal portiere, mentre la sua distanza minima dev'essere di 9,15 metri dal punto di battuta, salvo i casi in cui la distanza tra questo punto e la linea di porta compresa tra i pali è minore di 9,15 metri.

Le scuole calcistiche nel mondo

Il calcio, come detto prima, si è sparso a macchia d'olio su tutto il pianeta coinvolgendo mille popoli diversi, ciascuno con la propria storia e la propria identità, e quindi anche il proprio modo di interpretare il gioco.

Le scuole calcistiche sono proprio questo: diverse maniere di giocare a pallone, concezioni differenti del gioco.

I maestri inglesi

La scuola inglese è stata a lungo quella dominante. Nei primi 50 anni del passato secolo, affrontare l'Inghilterra o una squadra di club inglese significava andare a lezione di calcio, prendere una enorme quantità di reti e segnarne pochissime, se non nessuna. La ragione è che gli inglesi adottarono prima di chiunque altro la tattica, si disponevano con ordine in campo, sapevano colpire il pallone in modi allora impensabili e, soprattutto, arrivarono prima di tutti gli altri al professionismo.

Nella fase moderna del calcio, la scuola inglese predica un calcio basato molto sulla fisicità, una tecnica di base piuttosto povera e una tradizione di centravanti e di difensori centrali fortissimi di testa, nati per raccogliere o contrastare i lanci lunghi dal centrocampo o dalle fasce. Questa tradizione inglese sta tuttavia scomparendo sotto la spinta di diversi modi di concepire il calcio introdotti in Inghilterra da giocatori e allenatori stranieri, soprattutto francesi nel campionato di calcio inglese che ha elevato, e di molto, il tasso tecnico almeno delle squadre più prestigiose.

Lo schema classico del calcio inglese era, e rimane, il più diffuso: il 4-4-2. Portiere: stella di sempre: Gordon Banks. Difesa: uno dei centrali si stacca di qualche metro indietro, i terzini raramente superano la metacampo. Stella di sempre: Bobby Moore. Centrocampo: disposto in linea. Uno dei centrali ha funzione difensiva, l'altro si inserisce in area avversaria durante la fase di attacco. Gli esterni sono ali pure, preferibilmente veloci e abili nel dribbling. Stella di sempre: Stanley Matthews. Attacco: ci si affida ad attaccanti abili in area da rigore, generalmente forti fisicamente e di testa, ma a volte anche agili e reattivi. Stella di sempre: Bobby Charlton.

La fine del dominio britannico: la grande Ungheria

L'iniziale dominio incontrastato degli inventori del calcio finì il 25 novembre 1953 quando la nazionale di calcio ungherese sconfisse pesantemente i maestri per 6-3, per giunta nella cattedrale del calcio: lo stadio di Wembley a Londra. Gli inglesi fino a poco tempo prima si erano rifiutati di affrontare nazionali straniere e di partecipare alle competizioni internazionali, orgogliosi della propria superiorità. Quando le frontiere si riaprirono, gli ex maestri si resero conto di essere stati raggiunti ed abbondantemente superati dallo splendido gioco della scuola ungherese la cui nazionale nel 1938 aveva perso un campionato mondiale solo in finale contro l'Italia.

Ma la nazionale che vinse a Wembley fu senza dubbio la più forte degli anni cinquanta e a detta di molti, una delle più belle della storia di questo sport. Un anno prima del 6-3 questa squadra si era aggiudicata l'oro olimpico di Helsinki senza molte difficoltà. Gli ungheresi hanno sempre brillato per la loro tecnica sopraffina e le giocate spettacolari, ma nessuna nazionale o squadra di club raggiunse la competitività di quell'Ungheria.

Era una squadra basata sul blocco della Honved, la squadra dell'esercito magiaro. Una formazione composta da talenti come Ferenc Puskás (forse il migliore in assoluto, fece la fortuna del Real Madrid), Josef Bozsik, eccellente interprete del ruolo di mediano e Sandor Kocsis in attacco insieme a Nandor Hidegkuti che giocava da centravanti mimetizzato da centrocampista. Da non dimenticare Laszlo Kubala che giocò a lungo nel F.C. Barcelona, considerato dai tifosi blaugrana il migliore della storia del loro club.

La Grande Ungheria perse la finale del Mondiale 1954 contro la Germania Ovest per 3-2. Non sono molti ad avere dubbi che per qualità del gioco, avrebbero meritato la vittoria gli ungheresi; inoltre nei mesi successivi alla finale i giocatori della Germania Ovest ebbero tutti gravi problemi di salute così da alimentare fortemente l'ipotesi che ad essi venne somministrata una massiccia dose di doping.

La scuola italiana: il catenaccio

Negli anni sessanta si è affermata la scuola italiana. I teorici del gioco all'italiana sono stati Gipo Viani, Nereo Rocco ed Helenio Herrera che pure era argentino. Si tratta di un modo di giocare che predilige la fase difensiva e predispone un sistema formato da un giocatore libero da compiti di marcatura (una lezione figlia dei terzini metodisti) che agisce alle spalle di due marcatori puri e di un fluidificante, generalmente mancino; il centrocampo è imperniato su due mediani di rottura, anche se spesso uno dei due è un centrocampista polivalente, capace di ricoprire più ruoli nel corso di una partita; davanti a questi o al loro fianco, in posizione centrale, agisce il regista, che ha il compito di organizzare l'intera manovra. La fase di offesa, che nasce dalle aperture o dalle incursioni palla al piede del regista, si sviluppa intorno ad un'ala (solitamente destra), una punta centrale e una seconda punta di raccordo che svaria sul fronte d'attacco.

Le vittorie di Herrera con l'Inter e di Rocco col Milan hanno confermato nella pratica questa filosofia calcistica, anche se è pur vero che la scuola italiana aveva prodotto eccezionali giocatori di difesa come Giacinto Facchetti, Giovanni Trapattoni, Cesare Maldini, Tarcisio Burgnich e giocatori d'attacco dalla grande fantasia come Mario Corso, Gianni Rivera e Sandro Mazzola. Una scuola prevalentemente difensivista che ha sempre prodotto anche tanti grandi attaccanti e fantasisti.

Alla base della filosofia italiana c'è un attento studio dell'avversario e la grande importanza data alla tattica, due misure oggi adottate quasi ovunque nel mondo del calcio. Pensando soprattutto a non subire reti, la scuola italiana ha modificato alla tattica introducendo la marcatura a uomo in ogni parte del campo e l'impiego sistematico del libero, un difensore d'emergenza senza obblighi di marcatura che giocava dietro la linea dei difensori. Adottare la marcatura a uomo con il libero significa in molti casi uccidere lo spettacolo e stroncare sul nascere ogni iniziativa avversaria. Il cosiddetto catenaccio. Un metodo che veniva considerato dagli avversari (ma anche oggigiorno) in termini negativi: una squadra poteva arrivare a subire per 89 minuti il gioco avversario ma in una sola azione fiondandosi in contropiede o inventando qualche situazione particolare poteva risolvere la partita senza timore di subire reti... quasi come qualcosa di antisportivo, al limite del regolamento.
Tuttavia è pure vero che il calcio italiano ispirandosi alla scuola olandese degli anni settanta ha saputo produrre anche esempi di calcio offensivo, come nel caso del Milan allenato da Arrigo Sacchi negli anni ottanta. Si è trattato di una squadra votata all'attacco e al gioco corale, cui abbinava una grande perizia nella fase difensiva. La formazione rossonera seppe raggiungere eccellenti risultati.

Il "calcio totale" degli olandesi
Per approfondire, vedi la voce Calcio totale.

Agli albori degli anni Settanta, in pieno clima di rivoluzione nella società, anche il calcio ebbe la sua. Si chiamava Olanda. La scuola olandese deve la sua affermazione soprattutto a due persone: l'allenatore dell'Ajax Rinus Michels e il calciatore Johan Cruijff, considerato uno dei migliori di sempre, senza il quale né la squadra di Amsterdam né la Nazionale orange avrebbero potuto tradurre sul campo, e con tanta efficienza, la propria forza innovativa.

Quando si parla di "calcio totale" ci si riferisce al gioco che mostrarono prima il PSV Eindhoven e subito dopo l'Ajax e la selezione olandese: qualcosa di mai visto prima, almeno non in maniera tanto sistematica. Ogni giocatore doveva saper interpretare tutti i ruoli: il difensore saliva ad attaccare, il portiere avanzava per rilanciare immediatamente l'azione, un attaccante poteva e doveva tornare indietro ad aiutare i compagni in fase di non possesso palla. Perché questo potesse verificarsi erano necessarie continue rotazioni di ruolo, con movimenti a scalare e complicati meccanismi tattici.

Ogni giocatore, anche un centrale difensivo o un portiere, doveva saper giocare benissimo il pallone e non buttarlo mai via; tutti e undici dovevano muoversi e correre costantemente per tutti i 90 minuti. Nei pochi momenti in cui i giocatori non correvano, era il pallone a farlo, con una rapida successione di passaggi, la cosiddetta melina, preludio di un'intensa accelerazione del gioco. Alcune di queste caratteristiche oggi appaiono piuttosto scontate per qualsiasi squadra professionista, ma fu l'Olanda a farle vedere per prima su un campo di calcio.

La nazionale olandese, chiamata anche l'arancia meccanica, poteva contare su altri grandi talenti come le due ali Johnny Rep e Rob Rensenbrink, il difensore esterno Ruud Krol, Johan Neeskens, considerato il "gemello" di Cruyff e altri ancora: una generazione particolarmente dotata, capitanata da Johan Cruyff. Simbolo del giocatore in grado di interpretare ogni ruolo e sapersi adattare ad ogni situazione, velocissimo e dal gran senso tattico. Di base era un centravanti e ha segnato diversi gol ovunque abbia giocato.

Con questi uomini, compreso l'allenatore Michels, l'Ajax vinse tre Coppe dei Campioni consecutive dal 1971 al 1973 e l'Olanda perse una finale Mondiale nel 1974 contro la Germania Ovest. Michels si prese la rivincita nel 1988 quando vinse il campionato europeo con un'altra grandissima generazione di calciatori.

Oggi la scuola olandese percorre la stessa strada tracciata 35 anni fa e continuano a nascere ottimi giocatori praticamente a getto continuo. Le loro caratteristiche sono quelle classiche di un giocatore orange: duttilità, tecnica, sapienza tattica.

Scuola tedesca: concretezza e vittoria

C'è una frase molto famosa di Gary Lineker, attaccante inglese degli anni ottanta, che potrebbe servire ad introdurre la "scuola tedesca": «Il calcio è un gioco molto semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti e, alla fine, vincono i tedeschi».

Il modello teutonico non riscuote grandi simpatie dai non tedeschi, un po' come succede agli italiani. Il motivo è molto simile: si tratta di una riedizione del gioco all'italiana basato sulla difensiva, che non contempla lo spettacolo. Nella scuola teutonica però i terzini a turno alimentano la fase offensiva e lo strapotere fisico di alcuni giocatori danno un lustro leggermente più offensivo alla disposizione in campo. Nel 1974, la finale mondiale Olanda - Germania Ovest rappresentò lo scontro tra due filosofie opposte di calcio. La Germania Ovest si preoccupò di difendersi dagli attacchi olandesi dando l'impressione di essere ben più debole della sua avversaria. Sotto di un gol, finì per rimontare e vincere la partita.

Ma quella non fu l'unica rimonta "impossibile" dei tedeschi, nel 1954 accadde qualcosa di molto simile all'Ungheria che pure giocava un calcio di gran lunga più bello ed arioso di quello tedesco, che tuttavia poteva contare sul grande temperamento e spirito di sacrificio dei suoi giocatori, e una compattezza in campo invidiabile.

Negli anni settanta la Germania Ovest era formata dal blocco del Bayern Monaco, l'altra grande del decennio che, di fatto, prese il trono lasciato libero dall'Ajax. In quel Monaco giocavano Franz Beckenbauer e Gerd Müller. Il primo era un libero con una spiccata qualità tecnica, in grado di lanciare l'azione d'attacco e gestire i tempi del gioco. Il secondo, un centravanti non appariscente, né fisicamente né sul piano delle giocate, ma in grado di farsi trovare sempre pronto a mandare la palla in gol. Lo testimoniano le quantità immense di reti segnate.

I caratteri della scuola tedesca sono rimasti invariati fino ad oggi.

La scuola spagnola

Si tratta di una concezione di calcio basata sul possesso palla, sulla verve agonistica, sul gioco corale che porta ad offendere con più uomini diversi, ma con un ritmo più cadenzato rispetto al calcio centro-europeo. Real Madrid e F.C. Barcelona hanno portato questa filosofia ai livelli più alti, anche se soprattutto per merito di stelle straniere.

La scuola portoghese

Il calcio portoghese adotta un gioco molto tecnico, palla a terra, passeggiato e sempre in attesa di un'invenzione o una giocata di fino per le soluzioni offensive. In questo è molto più vicino al calcio brasiliano che europeo. La grande carenza della scuola portoghese è di non aver mai saputo produrre (ad eccezione del grandissimo Eusebio) centravanti prolifici. Questo handicap ha pesato moltissimo sulla carenza di vittorie a livello di nazionale, mentre a livello internazionale di club ha un palmares di tutto rispetto.

Il calcio brasiliano rappresenta la massima espressione dell'allegria e del puro divertimento volto ad intrattenere. Grazie ad una filosofia di gioco volto all'innata musicalità (detto appunto calcio bailado) e senso della tecnica, i brasiliani possono essere dichiarati i più grandi interpreti di questo gioco, non solo per i grandissimi risultati ottenuti nelle competizioni internazionali, cinque volte campione del mondo per nazione (1958, 1962, 1970, 1994, 2002), ma anche per i grandissimi fuoriclasse che questa scuola ha saputo produrre, Pelé, Garrincha, Vavà, Altafini, Zico, Eder, Falcao, Socrates, Careca, Romario, Bebeto, Ronaldo, Ronaldinho, Adriano, Kaká, Roberto Carlos e tantissimi altri. La scuola brasiliana di inizio secolo si caratterizzava da grandissime doti tecniche e di palleggio che riuscivano a sopperire le carenze tattiche che solo negli ultimi decenni, con la partecipazione di giocatori brasiliani in club europei, ha saputo colmare. L'influenza europea ha fatto ottenere grandi progressi soprattutto nel reparto difensivo, per anni considerato dagli specialisti un po' "scarso", tanto che attualmente molti difensori, anche estremi, di nazionalità brasiliana hanno trovato posto in grandi clubs europei.

Come la composizione etnica del loro paese suggerisce, gli argentini hanno sviluppato una concezione calcistica prettamente europea, mantenendo una contaminazione propria del sudamerica in misura molto inferiore a tutte le altre scuole d'oltreoceano. È una delle massime espressioni del calcio mondiale sia a livello individuale, avendo dato i natali ad alcuni tra i migliori giocatori del pianeta calcio, primo fra tutti Maradona, sia in ambito internazionale, con la vittoria di due titoli mondiali per Nazioni (1978 e 1986) e con alcuni clubs, ad esempio il Boca Juniors, capaci di imporsi nelle varie competizioni continentali e intercontinentali.

Uruguay: gli italiani del Sudamerica

Con un gioco vigoroso, molto fisico e difensivista gli uruguagi hanno saputo raccogliere vittorie sia a livello di nazionale (titoli mondiali nel 1930 e nel 1950) sia a livello di club con il Peñarol. Dotati della famosa Garra (grinta) le formazioni di questa scuola si presentano agguerrite ed a livello tattico dotate di un insolito centromediano metodista, una specie di libero dello schema italiano, ma schierato davanti alla difesa con compiti di interdizione e marcatura quando la squadra subisce, e come perno centrale per il rilancio dell'azione quando la squadra è in possesso di palla.

La scuola balcanica

In forte declino negli ultimi anni, le squadre balcaniche, grazie ad una innata eleganza nei movimenti e bravura nei fondamentali generalmente diffuse tra i propri giocatori, hanno sempre messo in mostra un calcio fatto di tecnica e fantasia, ma anche di duri contatti fisici. I ct non sceglievano i giocatori più utili alla squadra o al modulo tattico, ma semplicemente facevano giocare i più bravi, anche fuori posizione. Questo, unito ai frequenti litigi interni e a una fase difensiva di poco spessore, non ha permesso ai club e alle nazionali di raggiungere vittorie di primo piano. Comunque, puntando fortemente sui singoli hanno fatto conoscere al mondo innumerevoli campioni, tra cui Dragan Dzajic e Dejan Savićević (entrambi ala sinistra dell'ex-Iugoslavia e connazionali del regista Dragan Stojkovic), Gheorghe Hagi, trequartista rumeno, Hristo Stoichkov, punta bulgara, Davor Suker, punta croata, e Zvonimir Boban, regista croato.

Il calcio del secolo XXI: nuove scuole nascenti?
Il calcio è ormai diffuso anche tra le donne: nella foto, la finale di Coppa UEFA femminile 2005 tra il Potsdam e il Djurgården
Il calcio è ormai diffuso anche tra le donne: nella foto, la finale di Coppa UEFA femminile 2005 tra il Potsdam e il Djurgården

Durante il secolo di calcio appena trascorso si è potuto osservare una notevole alternanza di scuole calcistiche e di filosofie di gioco che hanno contribuito a creare una precisa identità sportiva per ogni nazione e relativi campionati. Oggi, nel calcio del XXI secolo, queste differenze maturate nel corso degli anni si sono radicate e conservate anche se è sempre più possibile osservare, col passare del tempo, una certa generalizzazione degli stili di gioco nei vari paesi. Le varie scuole calcistiche, pur conservando tutt'ora delle caratteristiche specifiche, si sono amalgamate tra loro. Questo fenomeno è stato possibile grazie alle oramai sempre più frequenti opportunità di confronto con altre mentalità sportive, garantite dalle competizioni europee.

Uno dei punti comuni in cui ci si è principalmente mossi in questi anni è quello della maniacale preparazione atletica e fisica dei giocatori. È infatti possibile notare abissale differenza con le generazioni calcistiche di un neanche tanto remoto passato: una velocità di manovra nettamente superiore, squadre più corte e un pressing accentuato fin dalla metà campo avversaria. Questa grande attenzione all'aspetto atletico resta ovviamente in funzione dei tatticismi moderni che richiedono come già detto una grande velocità di manovra e frequenti sovrapposizioni offensive. È chiaro come nel panorama attuale, assistere a evoluzioni eclatanti come è avvenuto negli anni passati sia molto più difficile; assistiamo quindi a delle piccole variazioni che tuttavia, nelle complicate meccaniche di gioco moderne, possono fare la differenza.

Negli ultimi anni ha assunto grande importanza la costituzione di un gruppo solido, compatto e convinto delle proprie capacità: è stato dunque ridefinito il concetto di "squadra". La componente psicologica è un aspetto fondamentale in questo processo ed è in gran parte delegata all'allenatore a cui spesso si affianca un leader carismatico in campo. Tale credo ha permesso a squadre di fascia "medio - bassa" di imporsi nelle principali competizioni europee, come dimostrano i successi di Porto e Grecia nel 2004 (rispettivamente in Champions League e Campionato Europeo) e più recentemente anche del Liverpool, che dopo anni di anonimato internazionale è riuscito nella grande scalata europea.

Proprio l'allenatore di quel Porto campione d'Europa José Mourinho è forse il principale interprete di questa rinnovata concezione di squadra a cui ha affiancato diverse meccaniche tattiche volte ad una maggiore velocità nella circolazione della palla. Con il Chelsea di Mourinho si è spesso parlato di una nuova rivoluzione calcistica, e in effetti gli immediati successi e lo schiacciante dominio nel campionato inglese dimostrarono un approccio sicuramente efficace ed innovativo. Attualmente è l'allenatore portoghese ad aver apportato i cambiamenti più efficaci nel panorama calcistico inglese. Tra gli altri allenatori che hanno portato questo concetto nuovo di squadra anche alle più blasonate formazioni europee va menzionato anche Fabio Capello, ex allenatore della Juventus e del Real Madrid. Il tecnico italiano ha saputo costruire, su una base di grandi giocatori, quella solidità e quel concetto di gruppo che ha avuto tanto successo. Con il prendere piede di questa nuova mentalità, si spiega anche la crisi di alcune importanti squadre europee in questo periodo, in particolare il Real Madrid e il Manchester United, oggi tornate su alti livelli, ma che fino ad alcuni anni or sono avevano smarrito, pur potendo contare su grandi giocatori, la propria identità di gruppo.
 
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